giovedì 14 dicembre 2017

Questi vescovi che "brutte persone". Una testimonianza sempre attuale: la fede non è filosofia o morale, ma vita vissuta.

RUBRICA "IL MONDO INTERROGA LA FEDE- LA FEDE INTERROGA IL MONDO"


Nel mese di giugno Papa Francesco ha riconosciuto il decreto di Venerabilità del Servo di Dio, Mons. Agostino Ernesto Castrillo, vescovo di San Marco Argentano – Bisignano, dell’Ordine dei Frati Minori, nato a Pietravairano (Caserta) il 18 febbraio 1904 e morto a San Marco Argentano il 16 ottobre 1955. Il riconoscimento delle sue virtù eroiche ci spinge ancor di più ad avvicinare, conoscere ed imitare la maniera in cui egli ha vissuto e servito. Leggere la biografia di Mons. Castrillo significa immergersi nel vissuto di un innamorato di Cristo e dei fratelli, un modello per chi segue Francesco e per tutti coloro che vogliono vivere seriamente la fede cristiana. 
Il modo in cui egli ha vissuto la propria vita e il suo ministero affascina. In questi tempi in cui scarseggiano i modelli dei quali avremmo tanto bisogno specialmente noi giovani, che per natura siamo alla ricerca di persone credibili, appassionate, la figura di padre Agostino potrebbe agire come un faro: la sua coerenza, la forza della sua fede, il coraggio di abbracciare e amare la vita anche nelle sue manifestazioni più scomode e dolorose, fanno comprendere che egli si è fidato e si è affidato fino in fondo. Un territorio il nostro così martoriato da piaghe che ben conosciamo (abbiamo visto un mese fa cinque comuni calabresi sciolti per infiltrazioni mafiose), in cui scarseggia il lavoro e dove la sanità è molto precaria; una terra insomma, così bella e ricca ma che si dimostra così difficile da vivere e da amministrare. In un contesto come questo, più che pensare di scappare altrove dove la qualità della vita possa promettere di più, bisognerebbe pensare cosa si può fare per rendere feconda questa terra. Da cristiani dovremo forse iniziare ad analizzare le cose che non vanno a partire da noi stessi, dal nostro piccolo, chiedendoci cioè ogni giorno cosa possiamo fare per il prossimo, per le comunità nelle quali viviamo.
Queste anime sante di cui la Calabria è così ricca (sembra addirittura che la nostra regione abbia il primato per il numero di santi venerati), oltre a dimostrarci che la santità sia possibile e sia fatta per l’essere umano e non per super eroi, insegnano ad avere ideali. Insegnano ad avere entusiasmo, a credere con forza in qualcosa tanto da rivoluzionare la propria vita e quella degli altri, ad amare con forza qualcosa. Ciò che forse non sappiamo più fare. E’ ciò che sottolinea A. Modaffari nel suo libro “Una traccia indelebile a San Marco Argentano- Il venerabile mons. Agostino Ernesto Castrillo”, il messaggio di padre Agostino è stato proprio questo: senza amore per quello che si fa, non si ottiene nulla.
Allo stesso tempo egli ha insegnato che la “perfetta letizia” non è utopia, non è ideale inattuabile. Ha trasformato “il letto di dolore in cattedra di umanità”, felice di imitare Cristo persino nella sofferenza, con il cuore lieto, con una gratitudine totale e non selettiva come la nostra. Guardando la sua vita ci sentiamo spronati ad essere uomini e donne di azione oltre che di preghiera; cristiani decisi che hanno il coraggio di compiere delle scelte. E’ un coraggio che oggi scarseggia. È’ molto più facile farsi trascinare dalle correnti, passare da una sponda all’altra secondo la convenienza, così come restare neutri in modo da non rischiare di perdere alcun beneficio. La neutralità è da codardi. Padre Agostino ha fatto una scelta: quella di stare dalla parte dei bisognosi, ha cercato di eliminare le disparità. A Foggia, ci viene raccontato che durante la guerra an¬dava in giro per raccogliere le ossa sparse per le strade e seppellirle. Ad Ascoli Satriano per tre anni ha donato tutto se stesso per servire i terremotati del 1930. Ancora a Foggia visitava sempre i poveri ed i ammalati. E’ un modello anche in questo: ci sprona ad amare i fratelli così come vuole Cristo, cercando di essere maggiormente attenti agli emarginati, a coloro che sembra non abbiano diritti. Diceva il Santo Padre i giorni passati: saremo giudicati “sul nostro impegno concreto di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi”.
C’è una frase molto amata da padre Agostino: Nulla per sé, tutto per gli altri. Facile a dire… Ci aspettiamo che lo facciano i preti, i vescovi, i cardinali. Chi è pratico della rete di socializzazione si sarà imbattuto qualche volta nella foto della tavolata dei cardinali con a fianco l’immagine dei bambini africani che giacciono nella polvere magri, nudi e sporchi. Provocazione tipica per il nostro tempo, tempo dei “haters”. Ci casca chi pensa che il mondo cambi dall’alto: che ci sia cioè una piccola massa di persone che abbiano dei doveri, mentre noi altri abbiamo prevalentemente dei diritti. Così attendiamo che la Chiesa sia Chiesa solo in Vaticano, che la politica sia funzionante solo a partire dai politici. E così via, in tutti i campi della vita sociale. Ma noi dove ci collochiamo? Da cristiani, il battesimo dona la stessa dignità a tutti, laici e cardinali. La Chiesa siamo anche noi. E allora perché non chiederci per primi se nella nostra quotidianità pensiamo o meno a chi è nudo? A chi ha fame? A chi è solo? Perché non chiederci se noi per primi non sprechiamo? Se noi per primi non pecchiamo di omissione? 
Nel libro di A. Modaffari c’è la testimonianza di una frase che padre Agostino rivolge ad uno dei sacerdoti della diocesi: “Se vogliamo arricchire il mondo, dobbiamo essere poveri.” Ma questo suo messaggio va a toccare tutti noi, non solo i sacerdoti, perché è il messaggio del Vangelo, è ciò che Francesco ha chiesto ai suoi figli: di cercare di essere più sobri, più attenti a come gestiamo i nostri beni ed i beni comuni affinché ci siano per tutti. Una certa sobrietà inoltre ci libererebbe da fardelli ingombranti e inutili, dai bisogni indotti che ci tolgono solamente spazio e tempo. La nostra vita potrebbe essere facile, leggera e libera. E senza i finti bisogni potremmo pensare anche a provvedere ai bisogni veri di qualche altro fratello. Se lo volessimo. La testimonianza di padre Agostino ci fa scendere con i piedi per terra. Fa comprendere che la vita sia molto più delle nostre battaglie inutili per accumulare beni e riconoscimenti. E ci dice che la vita acquista senso nella misura nella quale si è capaci di impegnarsi per l’affermazione della dignità di tutti, specialmente degli ultimi. Per avere quel coraggio di fidarsi e di affidarsi completamente a Dio, il requisito essenziale è quello di sentirsi liberi e liberati, di conseguenza, forti. 
Mi piace individuare l’eredità di padre Agostino in questo: una testimonianza che insegna cosa bisogna fare per essere felici e in pace, cercando Dio in noi stessi e nei fratelli; amando Dio in noi stessi, nella nostra vita, con tutte le sue difficoltà e amando Dio nei fratelli. 


Andreea Chiriches


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